Blue monday!Perché siamo meno felici?
Perché siamo meno felici?
Siamo più felici oggi rispetto al passato?
Diversi studi e sondaggi hanno portato alla luce una verità molto interessante: in Occidente siamo, in media, meno felici rispetto a vent’anni fa.
Inoltre, le patologie legate all’ansia e alla depressione sembrano essere più diffuse nelle Nazioni ricche rispetto a quelle più povere.
Come è possibile, dunque, che l’insoddisfazione sia cresciuta proprio dove c’è più benessere e abbondanza?
Secondo Anna Lembke, psichiatra e direttrice del centro per la cura delle dipendenze della Stanford University School of Medicine, la ragione della nostra minore felicità è da ricercare nella biologia.
Come spiega anche nell’ultimo libro, L’era della dopamina. Come mantenere l’equilibrio nella società del “tutto e subito”, la chiave di tutto è la dopamina.
Che cos’è la dopamina?
Si tratta di un neurotrasmettitore, una sostanza chimica, che agisce come messaggero dei neuroni, consentendo loro di comunicare e lavorare insieme.
Per capirne il funzionamento all’interno della nostra mente, dobbiamo partire dalla premessa che piacere e dolore vengono regolati nella stessa parte del cervello. Esso poi si sforza continuamente di tenerli in equilibrio, come se si trovassero ai due estremi di un’altalena.
Ogni volta che proviamo un’esperienza gratificante, come mangiare il nostro cibo preferito, ricevere un messaggio da una persona cara o fare un’attività che amiamo, questo provoca un picco di dopamina in una parte del cervello detto “circuito della ricompensa” e fa sbilanciare l’equilibrio verso il piacere.
“Oggi sappiamo che quanto più, e quanto più rapidamente, una sostanza o un’esperienza provoca rilascio di dopamina in questo circuito, tanto più crea dipendenza. Perché una volta che l’altalena è inclinata sul lato del piacere, il cervello, per ripristinare l’equilibrio, produce uno stimolo uguale ed opposto, e quindi doloroso, alla sensazione provata: questo stimolo è il senso di privazione che subentra al piacere del primo biscotto e che ci fa desiderare di mangiarne un altro”.
Si tratta di un meccanismo che si è radicato in noi con l’evoluzione, necessario a mantenere alta la motivazione a fare ciò che serve per la sopravvivenza. Infatti, facendo in modo che lo stato di euforia e di piacere indotto dall’esperienza gratificante si esaurisca in poco tempo, siamo portati continuamente a cercare il modo di provare ancora quella sensazione, mangiando altro cibo, facendo gruppo con gli altri per sentirci più protetti, accoppiandoci.
Tuttavia, il fatto di essere esposti ad un certo stimolo per un arco di tempo prolungato fa si che, dopo un po’, il senso di piacere provato inizialmente tenda a scemare, mentre la reazione “dolorosa” diventa sempre più intensa e duratura.
Di conseguenza, “l’altalena” inizia ad inclinarsi verso il dolore.
Questo è il principio che è alla base delle dipendenze: per poter sentire nuovamente la gratificazione dell’inizio è necessario aumentare le dosi, perché altrimenti si diventa irritabili, addirittura arrivando anche a vivere vere e proprie condizioni di ansia.
In altre parole, si è dipendenti a tutti gli effetti.
Oggi è molto più facile sviluppare delle dipendenze rispetto al passato. Ci sono, infatti, alcuni stimoli che vengono studiati appositamente per pervadere il cervello di dopamina.
È quello che avviene con i social media. “Il loro uso provoca quel rilascio di dopamina che l’evoluzione ha previsto per motivarci a cercare il contatto con gli altri e a vivere in comunità, impulso salvifico nel mondo brutale del Pleistocene”.
Come possiamo attenuare questa dipendenza?
Nel caso delle dipendenze, secondo la dottoressa Lembke è necessario praticare un periodo di astinenza, tendenzialmente di un mese, dal prodotto o dalla sostanza che provoca la dipendenza.
Un mese, infatti, è di solito sufficiente a “resettare” l’altalena del piacere-dolore presente nel nostro cervello ed è il tempo necessario per prendere coscienza di avere un problema, cosa che invece molto spesso non accettiamo o non vogliamo considerare.
Indubbiamente, alcune dipendenze sono più facili da debellare rispetto ad altre.
Tra le più difficili da superare rientra l’abuso di smartphone e dei social media, diventanti parte integrante della nostra quotidianità.
Perché è così difficile rompere questa dipendenza?
In milioni di anni di evoluzione, noi esseri umani siamo stati “cablati” per connetterci con gli altri e quando riusciamo a stabilire queste connessioni il nostro cervello rilascia dopamina.
I social media hanno reso possibili queste connessioni senza il bisogno di compiere alcuno sforzo.
Tradizionalmente, la prima cosa che facciamo quando vogliamo stabilire delle interazioni umane è uscire di casa e conoscere persone, molte delle quali non ci piacciano neanche.
Ora invece, semplicemente grazie ad uno smartphone, possiamo vedere milioni di persone da ogni parte del mondo mentre siamo seduti sul divano di casa nostra.
Sicuramente, uno dei maggiori rischi legato alle dipendenze dai social media e dallo smartphone è proprio il fatto che è estremante facile avere accesso ad essi.
La soluzione, però, non è farne a meno del tutto, ma piuttosto renderli meno attraenti ai nostri occhi.
“Ad esempio, disinstallando i giochi, eliminando le notifiche delle app, e quindi i picchi di dopamina che provocano, togliendo colore allo schermo e usando una più sobria scala di grigi”.
Queste forme di dipendenza sono molto diffuse, non solo tra i giovani ma anche tra i “boomer”, riguardano molte generazioni. Abbiamo deciso di approfondire questo tema insieme ad Anna Lembke, che sarà ospite di un grande evento di Life Strategies.
FONTE A cura di Life Strategies